Con la sentenza n. 6597 del 22 luglio 2024, il Consiglio di Stato ha fornito un chiarimento cruciale sulla normativa applicabile agli impianti di trattamento dei fanghi derivanti dai processi di depurazione. Secondo i giudici, un impianto di trattamento fanghi realizzato nella stessa area di un depuratore, ma gestito in modo autonomo, deve essere considerato alla stregua di un impianto di trattamento rifiuti, e quindi soggetto alla relativa disciplina normativa.

Questa decisione ha avuto un impatto significativo: è stata dichiarata illegittima l’esclusione del progetto di un Consorzio, che prevedeva la costruzione di un impianto di essiccazione fanghi presso un depuratore consortile, dai finanziamenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nella “Missione 2, Componente 1, Investimento 1.1 – Realizzazione nuovi impianti rifiuti”.

Il punto di vista del Ministero dell’Ambiente:

Secondo il Ministero, per essere finanziato, l’impianto avrebbe dovuto trattare fanghi “eteroprodotti”, ovvero provenienti da altre realtà esterne. In questo contesto, il trattamento dei fanghi era stato considerato una fase intermedia del ciclo produttivo del depuratore, e dunque sottoposto al regime delle acque ai sensi dell’art. 127 del Dlgs 152/2006.

La decisione del Consiglio di Stato:

Tuttavia, i giudici hanno stabilito che il progetto del Consorzio configura un impianto di trattamento rifiuti autonomo rispetto al ciclo di depurazione delle acque reflue, anche se gestisce i fanghi provenienti dal depuratore situato nella stessa area. L’essiccazione dei fanghi, in questo caso, rappresenta una fase finale del trattamento e non una fase intermedia ed è soggetta pertanto alle normative sui rifiuti.